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Io imprenditore, tu dipendente: l'eterna lotta fra le classi lavoratrici. E se ci fosse una solu


Succede a tutti noi almeno una volta nella vita di avere il desiderio di mettere su un’attività che ci permetta di occuparci di ciò che ci piace, fare di una passione un lavoro. Il pensiero di diventare imprenditori, di mettersi in proprio, alletta sempre . Ed allora, se sei davvero impavido, perché diciamocelo, in un Paese come l'Italia ci vuole coraggio, ed hai la fortuna di avere un capitale da investire, perché ridiciamocelo, il “grano” serve e non tutti hanno le possibilità di ottenerlo o di studiare per arrivare a poter investire su se stessi, questo gioco fa per te.

Ed allora ti ritroverai, soprattutto nei primi tempi, a lavorare ad orari improbabili, molto più delle canoniche otto ore di un semplice impiegato, nei weekend e nei giorni festivi: se a fine mese vuoi ritrovarti uno stipendio devi darti da fare, perché sarai il principale responsabile della tua situazione economica. All’inizio nelle tasche ti ritroverai poco, soprattutto finchè dovrai pareggiare i conti e rientrare delle spese che avrai sostenuto per avviare la tua impresa e quando calcolerai il BEP (break even point), cioè il punto di pareggio, la soglia al di sotto della quale un'impresa è in perdita, perché da quel punto in poi si deve guadagnare se si vuole che l’attività vada avanti e garantisca sostentamento, arriverà la fatidica domanda: ne vale la pena? Chi lavora alle dipendenze ha sicuramente meno incombenze, o comunque problemi differenti, di chi lavora per se stesso (anche se ci vuole altrettanto impegno, pazienza e buona volontà), orari più certi (nella maggior parte dei casi, le eccezioni ci sono sempre) ed uno stipendio sicuro a fine mese (almeno dove le cose funzionano e dove chi dirige è degno di ricoprire quel ruolo). Vista così sembrerebbe non ci sia gara, dipendente tutta la vita.

Ma tu imprenditore dovrai sempre tenere a mente che ciò che stai facendo lo hai creato tu, ideato e costruito, e solo il fatto di riuscire a mantenerti, seppur con poco, con una passione, dovrebbe rassicurare l’animo ed essere la spinta motivazionale per andare avanti. Perché davvero per vivere felici è necessario guadagnare molto? E’ davvero necessario fare i conti in tasca agli altri e vivere il lavoro solo in termini economici?

Nel corso della vita mi sono imbattuta spesso in discussioni riguardanti l’impresa privata, ho sentito frasi del tipo “i soldi ce li ho messi io ed è giusto che io guadagni di più”, oppure “lo Stato mi toglie la maggior parte dei miei guadagni ed in più devo pagare i dipendenti, a me rimane poco per vivere”, “quello è impiegato statale, lavora poche ore al giorno e campa a mie spese”. La diatriba dipendente/capo, imprenditore/lavoratore pubblico c’era, c’è e ci sarà sempre e per questo, dopo aver ragionato e ascoltato diversi punti di vista, sono giunta ad una conclusione: ci vuole rispetto. Rispetto per le idee (dove non ledano il bene della collettività), rispetto per le proprie inclinazioni, per se stessi (le passioni dovrebbero essere il motore dell’economia, un lavoratore felice, imprenditore o dipendente, è un lavoratore produttivo), rispetto del tempo. Ma soprattutto, rispetto per le persone, il lavoro di un dipendente vale tanto quanto quello di un imprenditore, ognuno ha necessità e prospettive differenti, nessuno può o deve prevaricare l’altro ma solo cooperare affinchè tutti ne traggano guadagno, sia sul piano della vita privata che sul lato meramente economico. Per arrivare a non farsi più domande ed essere liberi di esprimere senza troppe perplessità noi stessi e godere davvero del lavoro ci vuole uno Stato che mantenga un equilibrio tra stipendi e classi sociali. Ma questa è tutta un’altra storia….

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